Tramonto
Luca Vitali, gennaio 2025
Il vecchio è riuscito in qualche modo a sedersi sulla sponda del letto e ora guarda sconsolato i suoi piedi nudi lì sotto, così informi e così lontani. Sa già quello che sta per affrontare. Sospira e comincia le manovre.
Comincia con il piede destro, prova a raggiungerlo abbassandosi lentamente, molto lentamente, ma giunto all’altezza del polpaccio arriva, improvviso e però consueto, il dolore. Lacerante, sempre nello stesso punto, sempre la stessa vertebra, il fiato è spezzato e lui torna adagio al punto di partenza.
Qualche minuto di respiri lenti e intensi, per congedare il ricordo degli spasmi, poi si organizza per il secondo tentativo. Lentamente, molto lentamente, le braccia si protendono verso il polpaccio destro, lo afferrano delicatamente e lo portano verso l’alto mentre lui si piega all’indietro, cercando di avvicinare il piede senza farsi scoprire dalla vertebra sgangherata. Pochi minuti e riesce a adagiare la caviglia sulla gamba sinistra, a una distanza che gli sembra alla sua portata, prende la calza lì accanto e comincia ad allungarsi verso il piede, mentre la schiena si è accorta dei suoi maneggi e gli indirizza piccole fitte minacciose. Trattiene il respiro e infila la calza con cautela, cercando di rimanere eretto il più possibile. La manovra ha avuto successo, il primo piede è a posto, alcuni momenti di riposo per il cuore affannato e il vecchio comincia la seconda parte dell’operazione ‘Mettersi le calze la mattina’.
Dopo mezz’ora esce traballando dalla camera ancora in camicia da notte, ma i pantaloni sono infilati e ha recuperato anche le pantofole sotto il letto con l’aiuto di una stampella. Neanche oggi è riuscito a cambiarsi le mutande ma è sicuro che domani sarà la volta buona.
Zoppica fino alla cucina e spalanca la finestra per cacciare il cattivo odore, non prova a raccogliere la padella ammaccata che sta lì a terra da tre giorni e neanche i frammenti del bicchiere che gli è caduto dalle mani ieri. Va al lavello, prepara la moka e aspetta in piedi il caffè che esce lentamente, ci aggiunge l’ultimo goccio di latte rimasto in frigo e si siede con cautela al suo posto a tavola, con la sua tazza e i suoi due biscotti quotidiani.
Beve un sorso e guarda la moglie, seduta davanti a lui, la testa sbattuta sul tavolo, le braccia allargate in una posa di sottomissione estrema. Testa e braccia affiorano da un piccolo lago di sangue secco e nero che copre metà del tavolo. Solo metà, perché il vecchio ieri ne ha rimosso diligentemente ogni traccia nella parte del tavolo che gli spetta.
Inzuppa il primo biscotto e accenna un sorrisetto.
“Sai, Giovanna, ho fatto tutto da solo pure oggi, tutto. E allora pensavo, ti sei stufata di aiutarmi la mattina? te ne vuoi andare da tua sorella a Montecatini? e vattene allora, chi ti trattiene, stai ferma lì da tre giorni senza dire una parola. Vattene che tanto non mi servi.”
Si alza lento per paura di perdere l’equilibrio, pulisce con il gomito lo spazio della sua colazione e si mette in cammino verso il gabinetto. Sa già che non arriverà in tempo, ma non gli importa e continua a ridacchiare, compiaciuto per l’energia con cui ha tenuto a bada la moglie.
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