Lo spione

Monica Masdea, aprile 2009

M’ha pestato di brutto, m’ha massacrato. Ho stampate sulla faccia tutte e cinque le sue dita. Le sue mani grandi, quelle belle mani forti che tanto tempo fa m’avevano fatto pensare che era l’uomo giusto per me, beh, adesso me le posso vedere stampate sulla faccia.

M’ha massacrato, ma evidentemente per loro non sto tanto male. È da due ore che aspetto qua, al pronto soccorso. Mi fa male anche la spalla.

È due ore che aspetto, ma ancora non ho deciso. Mi chiederanno chi mi ha conciato così e io che devo dire? L’ho visto subito che, quando è entrato a casa, sembrava un matto … che mi ha trovata con Giovanni e che con Giovanni, che è pure amico suo, non è che proprio stavamo parlando.

Vabbè, m’ha preso a ceffoni e m’ha dato una botta, ma d’altra parte io che avrei fatto, se l’avessi trovato con un’altra? Gli avrei dato uno schiaffone, proprio come ha fatto lui. Solo che io non ce l’ho delle belle mani grandi come le sue e allora, forse, non gli avrei lasciato questi orribili e dolorosi segnacci rossi. E poi ho perso l’equilibrio e sono finita contro l’armadio. È per questo che mi fa male pure la spalla.

È da due ore che sto qua, ma che faccio? Che gli dico a questi? Che è stato lui che mi ha pestato?

Giovanni, l’amico suo, prima, quando veniva a casa, a me quasi non mi salutava.  Ma quella volta è venuto e lui non c’era. Io ero sola. Ero sola da due giorni.

Sola proprio no, stavo con Lupo. Lupo è un cagnaccio che vive con noi da poco. Una sera lui, tornando dal lavoro, l’ha trovato per strada mezzo morto e l’ha portato a casa. Io gli ho gridato contro. Ma che gli era saltato in testa? Pure il cane ci voleva? Un cane sporco e vecchio, e pure brutto. Ma lui ha insistito e Lupo è rimasto con noi.

È un cane strano, mette soggezione. Ti sta sempre a guardare. Tu pensi che dorma e invece ti guarda; gli dai da mangiare e quello ti guarda, sempre. Dorme e ti guarda, mangia e ti guarda.

Non è un cane che, quando arrivi, ti fa le feste, macché.

Di solito quando torno a casa, solleva quel muso secco, annusa l’aria e poi riappoggia la testa sulla cuccia. Ma mica chiude gli occhi: la testa è ferma, ma quegli occhi neri come punte di spillo ti seguono dappertutto. Io mi tolgo il cappotto, mi metto le pantofole e quello mi segue, guarda e sembra proprio che si segni tutto quello che fai in quella testaccia strana.

Il giorno dopo, quando ritorno dal lavoro, è la stessa scena: alza il muso, annusa e poi sembra quasi che sia lui che mi indichi che devo fare: prima il cappotto, poi le pantofole….

È un cane vecchio, si vede. Però quando torna “il padrone” Lupo è diverso: con fatica si alza, gli va incontro, si avvicina con gli occhi bassi, lento lento gli lecca la mano e poi torna alla cuccia. E solo allora, finalmente, si addormenta, e chiude quegli occhietti puntuti.

La prima volta che Giovanni è stato con me, Lupo ci ha guardati quasi tutto il tempo. Guardava, guardava, guardava e allora Giovanni si è spazientito. Io, allora, ho riso: che pensava, che Lupo avrebbe raccontato qualcosa? Che avrebbe fatto la spia?

Ma poi, tutte le volte che Giovanni è tornato, ecco lì Lupo, malfermo sulle zampe, ma senza mollare mai. Sempre davanti a noi. A guardare.

Io lo so: oggi lui è tornato a casa prima perché lo sapeva che mi avrebbe trovato con Giovanni. Quando è entrato a casa e ci ha visti, io l’ho capito subito che per lui non era una sorpresa.

Io lo so chi gliel’ha detto. Solo Lupo sapeva di Giovanni.

E dopo, mentre lui mi pestava, Lupo non ha nemmeno alzato il muso. Io gridavo, scappavo da un angolo all’altro di casa mentre lui giù, cazzotti… ma intanto lo vedevo con la coda dell’occhio, Lupo, che mi continuava a guardare fisso fisso.

Stavolta, però, quel bastardo, c’aveva uno sguardo compiaciuto. Ghignava… quasi godeva.

Era soddisfatto, il cagnaccio. Aveva fatto il dovere suo.
Lo spione.

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