Un racconto scritto a più mani.

Un racconto lungo, anzi lunghissimo

Abbiamo rubato l’incipit di un grande scrittore e poi abbiamo continuato noi

“Tutte le famiglie felici si somigliano; ogni famiglia infelice è invece disgraziata a modo suo. In casa Biondini tutto era sottosopra”. 

Lev Tolstoj

Tutto era sottosopra nelle due stanze più servizi che erano state il loro nido d’amore e che ora dovevano improrogabilmente lasciare. Tutto era sottosopra anche nella loro vita di coppia: da quando avevano saputo dello sfratto, Giovanna e Attilio erano diventati nervosi ed irascibili.
Lo sfratto era stato un fulmine a ciel sereno. Avevano pagato con regolarità l’affitto, avevano sempre avuto buoni rapporti con il proprietario dell’appartamento, che li aveva trattati con affetto, quasi come i figli che non aveva mai avuto. Eppure, inaspettatamente, era arrivata la raccomandata che comunicava loro che entro sei mesi avrebbero dovuto lasciare la casa. Dopo qualche giorno in cui, storditi, non avevano saputo né che dire né che fare, era arrivata una telefonata, una strana telefonata.

Monica Masdea

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Era il cugino Filippo, ricco e antipatico, con il quale Attilio era praticamente cresciuto.

Venuto a conoscenza, da altri, di questo loro problema   chiamò per offrire ospitalità nella sua villa; dicendo che di spazio ne aveva fin troppo e proponendo il trasferimento direttamente nella dependance  dove sarebbero  stati  molto comodi ed avrebbero potuto portare anche qualche arredo.

Filippo vive con i due figli, poco più che adolescenti, é separato dalla moglie che anni fa decise di andarsene perché, si diceva in famiglia, non sopportava più il carattere ossessivo del marito.  Fece svariati tentativi per l’affidamento dei bambini ma senza successo, e così, nonostante fossero ancora piuttosto piccoli, se ne andò. Questa almeno fu la versione ufficiale della separazione.

Comunque, la proposta sembrava perfetta, ma anche imbarazzante per Attilio, che rimase perplesso e sospettoso: troppo  generosa ed allettante. Perciò, nonostante  l’urgenza che avevano di trovare una nuova residenza ed anche per la scarsa disponibilità economica di quel periodo, prese del tempo  per riflettere.

Il rapporto con il cugino era sempre stato ambivalente, da una parte lo ammirava per il suo successo, dall’altra non sopportava il modo saccente e prepotente di trattare con il prossimo, erano cresciuti insieme si, ma tra un litigio e l’altro; quindi, sembrava piuttosto strana tutta questa generosità.

I giorni stavano passando velocemente e quindi un pomeriggio decise di andarlo a trovare.

Paola Bianchi

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Giovanna mesi prima aveva inviato, quasi per scherzo, senza crederci lei per prima e senza dire niente a nessuno, uno striminzito curriculum a una piccola casa editrice di libri per bambini di Milano, per un posto di redattore tuttofare. Non era il lavoro per cui aveva studiato, tutt’altro, ma contribuire a costruire libri per bambini era sempre stato il suo sogno segreto.  L’editore, un bravo illustratore con una discreta carriera di free lance, aveva messo su una piccola azienda per creare edizioni molto curate di libri illustrati e cercava qualcuno che trovasse o inventasse dei testi adatti alle illustrazioni che lui inventava, in modo da creare insieme delle storie semplici, ma profonde; etiche ma leggere.

Era l’hobby segreto di Giovanna quello di inventare storie, a partire da ciò che le passava davanti, durante i suoi lunghi viaggi in metropolitana; oppure in pizzeria con gli amici, quando i rispettivi compagni cominciavano a parlare di moto e le altre ragazze si perdevano su Instagram.

E poi un trasferimento in un’altra città cadeva a fagiolo dopo lo sfratto dal loro nido d’amore. Sarebbe iniziata “la vita vera”! Non sapeva perché, ma avvertiva una certa ansia nel dirlo ad Attilio; perfino timidezza nel comunicargli la sua gioia per la proposta inaspettata…come un lieve senso di colpa.

Silvana D’Angelo

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Attilio si presentò al cancello della villa, diede il suo nome al custode e quello lo fece entrare dopo aver telefonato a qualcuno all’interno.
Superato il lungo viale alberato, fu accolto all’ingresso da un vecchio maggiordomo, abbigliato come il maggiordomo Max von Mayerling di Norma Desmond in Sunset Boulevard. Attilio, sbigottito e incredulo, rimase a bocca aperta per qualche minuto di troppo.

  • Il signor Aldrovandi mi ha incaricato di avvertirla. Purtroppo, è ancora occupato con i fotografi e non sarà disponibile per un’altra mezz’ora. Se vuole gentilmente aspettarlo, c’è la sala blu a sua disposizione, prego mi segua.

 Attilio convenne che il nome della sala era più che appropriato. Carta da parati blu con decorazioni floreali importanti, blu gli sfarzosi divani e le poltrone che fiorivano numerosi sui folti tappeti, blu anche loro. Alla parete un grande olio su tavola, una famiglia povera sul bordo del mare, avvolti anche loro in un paesaggio totalmente blu. Attilio notò la firma in basso a destra, Picasso. Pensò che magari fosse solo una riproduzione, sapeva che il cugino Filippo era diventato ricco, ma addirittura un Picasso…
Mentre stava rimuginando accanto al quadro, la porta si spalancò con una certa violenza e un ragazzo di 15-16 anni, lunghi capelli biondi, jeans e felpa fashion, entrò di corsa. Si fermò un attimo, sorpreso dalla presenza di un estraneo e lo squadrò con una certa arroganza.

  • Ma guarda che novità! E tu chi saresti?

Attilio si riscosse dall’imbarazzo.

  • Sono Attilio, Attilio Biondini, sono un cugino di tuo padre, noi non ci conosciamo
  • Ah ho capito, tu saresti il poveretto, quello che deve venire a vivere per un po’ di tempo nella dependance, no?
  • Ma… non so…

Luca Vitali

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Essere la redattrice di una casa editrice per bambini: un sogno che diventava realtà.
Ma Attilio? Avrebbe mai rinunciato alla sua tranquilla vita in provincia? Avrebbe mai accettato di trasferirsi a Milano, lui che, a suo dire, detestava l’idea di vivere in una grande città?
Non aveva ancora avuto il coraggio di raccontargli della lettera che aveva ricevuto e che avrebbe potuto cambiare la sua vita, la loro vita. L’aveva letta e riletta e poi riletta ancora. Tutto le sembrava perfetto: la descrizione delle attività che avrebbe dovuto svolgere, il tono della proposta, la retribuzione, che era solo di poco inferiore a quello che già guadagnava.  E poi per magia, quasi a sancire senza alcuna incertezza quale avrebbe dovuto essere la scelta, era arrivata la lettera dello sfratto.
Il signor Giuseppe, sempre così gentile e affettuoso, aveva fatto quello che ogni buon padre fa per i suoi figli: li aveva sfrattati esattamente nel momento più giusto.
Si sentiva stordita, dunque, ma non per le stesse ragioni di Attilio.
Purtroppo, però, a ingarbugliare la faccenda era arrivata la telefonata di Filippo.
Ed ora Attilio era là, da quell’odioso Filippo, ad elemosinare un posto dove alloggiare. Se voleva quel posto da redattrice, se voleva una nuova vita, doveva agire e doveva farlo rapidamente.

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Giovanna voleva una nuova vita. Quando e da dove era uscita questa verità? Giovanna si era trovata questa frase bell’e confezionata in testa, stampata con una chiarezza disarmante. Prima della lettera di sfratto la sua vita con Attilio galoppava verso un futuro radioso, nel loro nido d’amore in cui si ritrovavano ogni sera, soli con i loro sogni, sul divano un po’ sdrucito, con una birra bevuta dallo stesso boccale “rubato” insieme in quel locale in centro tanto per fare una bravata. Cominciavano pure a fare due conti, con i loro piccoli ma onesti stipendi, per pensare – chissà, domani – magari di mettere in cantiere un pupino.

Non era stata la raccomandata con lo sfratto a farle venire in testa idee rivoluzionarie. Piuttosto quella le aveva suscitato un istinto battagliero, un far fronte comune con il suo compagno per schierarsi contro le avversità che minacciavano il futuro insieme di cui stavano fantasticando. Poi era arrivata la telefonata dell’odioso Filippo “Fortunello” e il fronte comune si era sfracellato. Anzi, forse non era mai esistito se non nella sua testa. Eh, sì! Perché, quando ci si lascia andare ai propri sogni uno si immagina che l’anima gemella lo segua; ma da quando in qua due persone fanno contemporaneamente lo stesso sogno? Magari a parole, quando si fanno progetti basati sulla buona volontà, si possono esprimere gli stessi concetti. Ma i sogni veri, signori miei, quelli nascono dal cuore (e non si parla del muscolo)!

Giovanna si chiede a questo punto quanta roba ci sia in questo angolo di chiarezza che è balenato improvvisamente alla sua coscienza. Sarà stata la paura dello sfratto, l’impatto duro con la realtà, l’adrenalina a far affiorare tutte queste idee ben definite nella sua mente?

No. Altra lampadina che si accende. È stato l’accorrere di Attilio alla telefonata di Filippo senza coinvolgerla. Come un bravo soldatino; come un cagnolino grato quando il padrone mostra la ciotola piena.

Ma l’orologio delle opportunità di Giovanna, dei “suoi” sogni, anzi il cronometro, si è messo in moto e va avanti inesorabilmente.

Deve rispondere all’editore.

Silvana D’Angelo

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  • Ehm …. ecco, nooon credo sai, anzi, sono sicuro, sarà per noi impossibile trasferirci qui, per vari motivi, sono passato per salutare e ringraziare Filippo
  • Ah, vabbè … aspetta dai, tra poco finirà con quelli …
  • No, no, ora devo proprio andare via, ma ritornerò a trovarvi, magari in un momento più tranquillo. Salutami tanto tuo padre eh.  È stato un …. “piacere” conoscerti.

Attilio rimase ancora per qualche secondo in piedi davanti al cuginetto, continuando ad ostentare indifferenza e calma poi, senza alcuna ulteriore esitazione si diresse verso l’uscita, senza aspettare di essere accompagnato. Veramente, prima di aprire la porta, aveva esitato pensando di lanciare al giovane una delle sue perle di saggezza sull’argomento “buona educazione”, ma scelse di evitare anche questo, solo per non dover sostenere una eventuale reazione.

Rimase ancora per un po’ stordito dalla situazione in cui si era trovato, dal lusso quasi imbarazzante che aveva visto, secondo lui comunque di pessimo gusto, ma soprattutto dall’arroganza che, evidentemente, era il segno distintivo di quella famiglia. Comunque, non volendo, il cuginetto lo aveva aiutato a prendere rapidamente e senza più alcun indugio, la decisione di declinare l’invito del padre. Sapeva che non sarebbe stata facile la convivenza con questi strani parenti ma era quasi disponibile ad un temporaneo sacrificio, in attesa di tempi migliori. Però, con queste premesse era decisamente impossibile, anche per un carattere accomodante come il suo.

Salì dunque in macchina, felice di essersi tolto un peso, mise in moto ed ascoltando la sua musica preferita, per rilassarsi, fece diversi chilometri prima di decidere di rientrare a casa.

Non aveva detto nulla a Giovanna della sua decisione di andare a trovare i parenti, ma forse lei lo aveva intuito. Dopo la telefonata, aveva subito percepito il suo imbarazzo e la sua espressione avvilita, quindi, non capendo bene il motivo di tanto fastidio, aveva deciso che  sarebbe stato meglio andare da solo a casa di Filippo.

Rientrò che era ormai sera, ansioso di raccontare tutto a Giovanna.

Paola Bianchi

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Lei lo stava aspettando con aria battagliera.
Come in un grande calderone in ebollizione, nella sua testa erano venuti in superficie tutti gli aspetti del carattere di Attilio che non le piacevano, emersi con chiarezza nei due anni di convivenza. Non era tanto la sua totale mancanza di senso pratico, molto fastidiosa, ma che le faceva anche un po’ tenerezza. Era quel suo rimandare sempre le cose, quel suo prendere apparentemente tutto alla leggera, senza impegnarsi mai seriamente.

Lei si era innamorata del suo sorriso scanzonato e bonario, del suo carattere calmo e dell’ironia delle sue battute e non le era pesato occuparsi di tutti gli aspetti concreti della loro vita in comune. Lo aveva anche aiutato molto nel suo lavoro, ma ora aveva bisogno di pensare a se stessa e fare ciò che più l’avrebbe resa felice.

Si era preparata un bel discorso, chiaro e determinato, e anche tutte le risposte alle probabili obiezioni al loro trasferimento a Milano.

Quando sentì la chiave girare nella serratura, prese un’aria che potesse sembrare rilassata e con in mano una tazza di tè ormai completamente freddo, si accomodò in attesa sul divano.

Come vide Attilio entrare con un’aria da cane bastonato le sue intenzioni bellicose scemarono in un momento e “Che è successo?” gli chiese premurosa. “Ti devo parlare” rispose lui buttandosi sul divano. “Anch’io” disse lei. E mentre i loro occhi si incontravano cercando ognuno in quelli dell’altro risposte e complicità, squillò il campanello della porta.

Cristina

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Era il postino con una raccomandata espresso per Giovanna Contini. Giovanna firmò l’avviso di ricevimento e cercò sulla busta il mittente: Milano, STORIE E ALTRE STORIE, la casa editrice.

Si sedette accanto ad Attilio e insieme cominciarono a leggere.

Era la seconda lettera che riceveva dal capo redattore, e precisava i termini della proposta in modo ancora più favorevole: stipendio “importante”, possibilità di smart working due giorni a settimana, casa in affitto agevolato lasciata da un ex dipendente, ecc. ecc.

Giovanna finì di leggere per la seconda volta, casomai non avesse capito bene qualche passaggio, e guardò Attilio.

Non sembrava che la lettera l’avesse messo di buon umore.

– Beh, allora? Che ne pensi? Sembra una proposta molto buona, no?
– …ma… non saprei. Mi sembra un po’ vaga, andare a Milano così… senza certezze, mi sembra un azzardo, io cercherei ancora qualcosa da queste parti per qualche mese, fino a che possiamo rimanere nel nostro nido…

Giovanna strinse forte la lettera, la rilesse di nuovo per farsi forza, poi si alzò con calma e si mise in piedi davanti a lui.

– Attilio Biondini, ti informo ufficialmente per la prima volta che hai rotto con questa storia del nido d’amore. Ha funzionato bene in passato, ero coinvolta quanto te e con grandissimo piacere, ma ora siamo in uno stadio successivo. Fra poco tempo ci mandano via definitivamente dal nido, i tuoi lavori a partita Iva un giorno ci sono e l’altro no e sono pagati una miseria, fra due mesi a me scade il contratto di ricercatrice all’università e non mi sarà rinnovato. Quindi, che facciamo qui? Ora mi arriva questa proposta e al signorino non va bene, perché dobbiamo tenere duro nel nostro nido d’amore finché non ci cacciano.

Che cazzo…. Giovanni, IO VADO A MILANO, stasera rispondo alla lettera dicendo che accetto e che posso prendere servizio fra dieci giorni, secondo le loro indicazioni. Giovanni, decidi quello che vuoi fare in tempi brevi e fammelo sapere al più presto. Ora ho da sbollire un po’ di nervoso e quindi esco dal nido per un’oretta, nel frigo qualcosa da mangiare lo trovi, se ricordo bene.

Attilio continuò a guardarla, occhi sbarrati e bocca spalancata, finché Giovanna non uscì sbattendo la porta.
Rimasto solo, si prese la testa tra le mani e cominciò una serie di respiri profondi e ritmati come gli aveva insegnato l’istruttore Hatha Yoga.
Dopo qualche minuto trovò il telecomando sotto un cuscino del divano e cominciò a cercare qualcosa tra i canali.

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