Assistente sociale
Luigi Flore, gennaio 2024
Ho sempre maggiori difficoltà a capire il tempo attuale.
Decidiamo di adottare un micio per fare compagnia alla gatta che è rimasta sola dopo la dipartita di Merlino, il nostro splendido gatto, il nostro gatto magico e totalmente nero.
Sono quaranta e più anni che abbiamo i gatti in casa, i ragazzi sono nati con la loro presenza e probabilmente non sanno farne a meno (anche il maschio ne ha tre a casa sua…). Così nostra figlia parte alla ricerca di possibili candidati per occupare la casella vuota creatasi nel nostro affetto.
La scelta ricade su un micetto maschio, di sei mesi, i cui attuali padroni abitano in Umbria (non so con quale canale sia riuscita a trovarlo – possibile che a Roma non ci sia un gatto adottabile?). Lei gestisce i contatti e penso che prossimamente arriverà il cucciolo.
Ma lui non arriva. Al suo posto compare una persona che bussa alla porta di casa di nostra figlia presentandosi come una volontaria contattata dai padroni della cucciolata per assicurarsi della idoneità dell’ambiente in cui il gatto andrà a vivere.
Ora, i due appartamenti in cui viviamo sono situati al quarto piano e comunicano fra loro con un passaggio creato nel muretto divisorio tra suo il terrazzo ed il nostro balcone, e tutt’e due le porta-finestra sono dotate di una gattaiola che consente alla felina di raddoppiare il proprio spazio vitale ed affettivo. La persona osserva attentamente l’interno di casa, si affaccia al terrazzo, guarda verso il nostro balcone, verifica la situazione ed emette il verdetto:
“La casa va bene, il terrazzo anche, ma il balcone dei suoi genitori è pericoloso perché ha i vasi sul davanzale ed il gatto potrebbe cadere di sotto. Dovreste mettere delle reti a protezione del davanzale che arrivino almeno a due metri di altezza.”
Ciò detto, la volontaria saluta e se ne va.
A questo punto nasce tra di noi un singolare dibattito il cui punto di partenza verte sulla richiesta di trasformare il nostro balcone in un’uccelliera. Tra lo sconcertato ed il divertito obietto alcune considerazioni che probabilmente nascono dalla mia obsoleta contemporaneità:
“ma in tutto il tempo che siamo stati qui non è mai successo che qualche gatto sia caduto di sotto”
“ma ci sarà un motivo per cui si dice il gatto sul tetto? O è uno stereotipo?”
“a questo punto ci tolgono pure la nostra gatta, prima che succeda l’irreparabile.”
“possibile che, non contenti di averlo fatto con i figli, si debba proiettare l’ansia pure sugli animali?”
“comunque non avevo mai sentito di affido di un gatto tramite assistente sociale!”
Decidiamo di non fare nulla.
Passa una settimana e la nostra ragazza viene contattata dai padroni della cucciolata per incassare il loro diniego all’affido. Il gatto non ce lo danno!
E vabbè, ce ne faremo una ragione.
Sono passati un po’ di giorni e nell’ultimo fine settimana abbiamo rivisto dopo parecchio tempo una coppia di nostri amici. Parlando di tutto ciò che ci è successo durante il periodo di non frequentazione, arriviamo anche a descrivere la vicenda del gatto di cui non siamo stati giudicati degni. Il loro volto si illumina e ci comunicano che un’amica della figlia cerca casa per il residuo di una cucciolata di cui non riescono a piazzare i componenti e che sta diventando per lei una situazione piuttosto pesante.
Detto fatto.
Dopo rapide consultazioni Bianchino arriverà da noi sabato. Ha otto mesi, è vaccinato e sterilizzato, e, soprattutto, non è sostenuto da alcun Assistente Sociale!