Ultrasfortuna
Vittorio Simonelli, settembre 2024
Mi sarei dovuta chiamare Vera. Se mi fossi chiamata Vera, allora forse sarei stata mora, avrei portato gli occhiali, avrei avuto la pelle chiara. Avrei avuto una bella risata in gola, di quelle contagiose, e quando avrei chiamato al telefono mi avrebbero subito riconosciuto perché avrei avuto una voce inconfondibile, dal tono basso, un po’ nasale ma molto sensuale. Avrei fatto il liceo, mi sarei laureata in lingue, sempre una tra le più brave ma senza essere antipatica a professori e compagni: perché io sarei stata di quelle studiose ma non troppo, di quelle che vanno bene a scuola senza essere delle secchione.
E invece sono stata chiamata Daiana: da allora non ho fatto altro che ricevere porte in faccia da tutto e tutti. Da bambina all’asilo e scuola primaria venivo bullizzata a causa del mio labbro leporino che i miei genitori ritenevano “troppo carino”, minacciandomi di lasciarmi in ospedale se insistevo troppo a correggerlo, e desistettero solo quando ormai ero alle Medie; tutte le mie estati alle Elementari passarono con emergenze familiari in cui venivo trainata a vedere parenti morenti o morti, oppure a sopportare le lagne dei genitori con i calcoli renali, che come assetati nel deserto dicevano “Daiana, Daiana, vieni qua…”, scatenando le mie urla frustrate a seguito delle quali distruggevo piccoli oggetti; alle Scuole Medie la mia prima cotta finì in modo brusco con un’imboscata, un evento in cui venni derisa dall’oggetto della mia infatuazione e la sua allegra banda di banditi del Sushi Chinko davanti a dozzine di avventori, tutto questo mentre indossavo la mia maglietta e gonnella più infantile che avevo, a causa di un inganno crudele del suddetto, tali vestiti finirono ridotti a stracci dopo la lotta; a livello di voti ricevevo risultati minimi per massimo sforzo, i miei genitori cercarono di utilizzare il metodo Vittorio Alfieri per farmi alzare la media in quinta elementare, ma il risultato rimase un deludente sei su tutta la linea (inclusa condotta), momento in cui si arresero, non senza chiamarmi in vari modi, come “deficiente”, “rompipalle”, “capra”, “capra deficiente”, “capra rompipalle” e, la peggiore di tutti, “capra deficipalle”, sentii moltissime varianti di tali parole che mutilavano e bruciavano il mio orgoglio; alle Superiori, presso un Istituto Nautico dove regnava la darwiniana legge del mare, invece, i miei voti potevano essere giocati al Totocalcio, cosa che mio padre regolarmente faceva; venni bocciata per cinque volte, una per anno, passando solo per stanchezza dei professori, i quali durante ogni colloquio premettevano “Daiana” con un sospiro profondo come l’abisso, spesso subendo incidenti poco dopo i colloqui; chiesi al mio compagno di banco di fare con me il viaggio della maturità, ma mi disse di no a causa dei miei capelli biondo sporco, tuttavia ebbi l’ultima parola perché si scoprì gay a metà del suo viaggio in Arabia Saudita.
All’università, ottenni un punteggio sotto lo zero per il test d’ingresso a Farmacologia, così fui costretta a ripiegare su Biologia marina: purtroppo dovetti abbandonare due anni dopo a causa del fatto che, quando andavo all’acquario per gli studi di Biodiversità Animale Marina (anche perché ogni tentativo di fare esperienze in mare finiva sempre con il natante che affondava appena ci mettevo piede), le vasche si svuotavano di vita: non ne scampava nessuna, né la piccola vasca delle meduse quadrifoglio che cessavano di muoversi, né la vasca dei polpi del Pacifico i quali si suicidavano sbattendo pietre contro il loro cranio molliccio, non la grande teca dei celacanti che al mio passaggio in un batter d’occhio passavano dalla vita alla morte galleggiando verso la superficie, e neppure la vasca dell’orca la quale riuscì in qualche modo a soffocarsi usando l’agnello congelato che gli era stato dato come pasto. La mia sola presenza in quell’acquario causò l’estinzione di almeno due specie rare di scienidi i cui unici esemplari noti erano là esposti, con grande fastidio dei miei professori, frustrazione dei miei compagni di corso, e rammarico di possibili visitatori.
Inutile dire che il mio odio per la vita sia ben giustificato. Nonostante ciò, ho deciso di continuare ad andare avanti perché, come Carlo II lo Stregato, voglio sbigottire la cristianità tutta continuando a vivere.
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