Un’immagine, un racconto

“Un libro inizia con un’immagine. Vedo un’immagine con gli
occhi della mente e poi cerco di raccontare ciò che vedo”

(Orhan Pamuk – Istanbul: ricordi di una città)

Un’ immagine può suggerire un ricordo, un’emozione, una fantasia, un incubo.
Cosa ti suggerisce QUESTA immagine?

Scultura di Tony Matelli. Foto scattata da Luca Vitali in occasione della mostra “Sembra vivo” presso Palazzo Bonaparte – Roma (luglio 2023)

Monica Masdea, agosto 2023

BUONA NOTTE

Lo so, i bravi ragazzi non lo fanno. Io sono un bravo ragazzo, ma l’ho fatto lo stesso.

Ora ti starai domandando perché ho voluto fare un’esperienza dalla quale non si torna indietro. Non so rispondere. Non so rispondere soprattutto a te, che mi ami e che mi hai sempre fatto sentire amato. L’ho fatto e basta.

Non credere che sia stato facile. Non è stato facile cercare la roba, capire chi avrebbe potuto procurarmela, chiedere come avrei dovuto usarla. Sì, perché io non lo sapevo! Nessuno dei miei amici, bravi ragazzi anche loro, l’hanno mai fatto. Se ne parlava, certo, ma eravamo tutti concentrati sulla vita, sullo sport, sullo studio, sul futuro… e se pensi al futuro, non puoi essere interessato alla roba.

Perché l’ho fatto? Perché ti ho fatto questo? Non lo so.

Non posso negare che l’adrenalina correva, mentre contattavo il tipo della droga. Non sarei sincero se non ammettessi che comprare in farmacia la siringa mi ha fatto sentire quasi un eroe. Ma soprattutto non so spiegarti come mi sono sentito la sera a cena mentre mi facevi le solite domande e ti aspettavi le solite risposte. Ma io sapevo che tutto era pronto.

Tutto era pronto nel cassetto del mio comodino. Aspettavo solo il momento giusto. Ma c’è un momento giusto per questo?

Fino a qualche anno fa, ogni giorno controllavi in quel cassetto. Mi accorgevo, tornando da scuola, che ci avevi frugato dentro ed io, allora, ogni volta mi infuriavo. E poi hai smesso. Perché?

Non esci quasi mai. L’altra sera sei uscita. È stata la prima volta che ho pensato di provare. Ho aperto il cassetto ed ho avuto paura. L’ho subito richiuso e, disteso sul letto, lo stesso letto di quando ero un bambino, ho cominciato a pensare.

Soli io e te, per tutta la mia vita. Non ricordo un solo momento in cui io non abbia sentito il tuo sguardo posato su di me. Sono cresciuto pensando a te come un ombrello sulla mia testa. Mi hai protetto dal sole e dalla pioggia. Ed ora…

Ed ora, dopo aver cenato e dopo averti augurato come ogni sera la buona notte, sono sospeso in aria, vuoto e senza senso. Non so se sono ancora vivo oppure morto: dall’alto vedo la mia stanza ed il mio corpo come fosse quello di un altro. Vedo la mia testa riversa all’indietro, i miei occhi che non vedono, i miei capelli bagnati dal sudore.

Non è tardi, sei nella tua stanza e come ogni sera, starai ancora leggendo. Ed io vorrei ancora un’opportunità.

Vorrei salutarti domani mattina ed augurarti una buona giornata. Vorrei dirti che sono ancora un bravo ragazzo e che domani andrò a lezione e poi in palestra. Che forse uscirò a cena con gli amici. Che ho incontrato una ragazza, che è bionda come te.

Vorrei.

Scultura di Tony Matelli. Foto scattata da Luca Vitali in occasione della mostra “Sembra vivo” presso Palazzo Bonaparte – Roma (luglio 2023)

Luca Vitali, agosto 2023

IL CADAVERE E’ LI’ IN ALTO

Il commissario Bastoni salì faticosamente gli ultimi scalini che portavano al quarto piano, fece un cenno di risposta al saluto dell’appuntato Locicero, in piedi accanto alla porta aperta, ed entrò nell’appartamento. Un corridoio ampio ben illuminato, soffitti alti con travi a vista, pochi mobili di buon gusto: quello che ci si può aspettare in una residenza di lusso a pochi passi dal Pantheon per turisti danarosi.
Si diresse subito verso l’ultima stanza a sinistra, dove un cono di luce invadeva il corridoio, e voci concitate facevano intuire che la sua presenza lì sarebbe stata utile.
A parte la luce quasi accecante sparata verso l’alto da un faretto sul pavimento, il quadro che gli si presentò era in gran parte quello consueto, incontrato spesso lungo 25 anni di carriera.
In un angolo il vicecommissario Manotta a colloquio con una ragazza di colore, la testa tra le mani, accasciata su una poltroncina grigia di design. All’angolo opposto gli agenti Cardone e Marianni, nullafacenti, le braccia conserte in attesa di ordini precisi per entrare in azione.
Ma le braccia conserte, frutto di consuetudini di lavoro di lunga data, stonavano con gli sguardi imbambolati e sbalorditi diretti verso un punto preciso del soffitto. Il commissario seguì gli sguardi e per un attimo il cuore smise di battere, perse l’equilibrio franando pesantemente su un divano alle sue spalle. La bocca ancora spalancata, incapace di credere a quello che stava vedendo, cercò vanamente per qualche minuto di ritornare a una postura più consona al suo ruolo.
Al centro del soffitto, investito dalla luce della potente lampada, c’era il cadavere di un giovane. 20 25 anni d’età, capelli biondi corti, corporatura media, t-shirt bianca, camicia a quadri aperta sul torace, pantaloni corti, scalzo. Gli occhi e la bocca erano socchiusi, l’aspetto tutto sommato sereno, non sembrava aver sofferto prima della morte. A una prima osservazione sommaria dal basso non erano visibili le cause della morte; doveva trattarsi di delitto… se qualcuno nasconde un cadavere, sia pure sul soffitto, invece di denunciare l’accaduto, è già in essere un evento criminale: nessun foro di proiettile, nessuna lacerazione da arma da taglio, niente sangue. Il commissario Bastoni cercava di capire meglio come il corpo fosse stato fissato lì sopra. A giudicare dalla sua ombra sul soffitto, il ragazzo non era bloccato direttamente, sembrava quasi sospeso a mezz’aria, per quanto assurda e inconcepibile potesse sembrare la cosa.
Bastoni cercò di riprendere il controllo della situazione.
– Cardone, Marianni, allora, per prima cosa cercate di spegnere questo faro del cazzo. Ci sarà pure una luce normale in questa stanza. Poi procuratevi una scala alta per portare giù quella cosa, il cadavere. Anzi, servono due scale, non si capisce com’è attaccato il corpo e bisogna portarlo giù tutto intero. È meglio se chiamate la stazione dei pompieri, fate presente la situazione e chiedete aiuto. Ma veloci eh… Manotta, qual è la situazione?

Intorno a lui le cose si rimisero in movimento. Cardone si attaccò al cellulare alla ricerca delle due scale alte, Marianni cominciò a perlustrare la stanza alla ricerca di prese e cavi elettrici, Manotta lasciò la ragazza seduta ancora in evidente stato di shock e si avvicinò al commissario.
– Commissario, allora… i fatti sono questi. La ragazza è arrivata stamattina per fare le pulizie della casa, intorno alle sette e quaranta. Nessuno in casa. Lei è entrata qui, ha visto il cadavere ed è scappata urlando. È uscita per strada, ha fermato un vigile all’incrocio qui vicino e lui ci ha chiamati. Noi siamo arrivati alle otto e venticinque e abbiamo trovato questa situazione.
– Ma la ragazza dov’era?
– Ci aspettava al portone, ci ha spiegato la situazione ed è salita con noi. La stavo interrogando quando…
– Va bene Manotta, qualche domanda gliela faccio io ora.
– Commissario, comunque guardi che…
– Va bene va bene, tu aiuta Cardone a cercare le scale e chiama il medico legale, ma digli che non c’è fretta. Mi sa che tirarlo giù non sarà tanto facile. Come si chiama la ragazza?
– Ossouka Bekale, viene dal Gabon, guardi che…

Ma Bastoni era già arrivato dalla ragazza, seduta con le braccia conserte, la testa china e lo sguardo puntato decisamente a terra. Di pelle scurissima, una specie di turbante a treccia con colori vivaci nascondeva completamente i capelli, una lunga gonna con riquadri verdi e marroni le arrivava fino ai piedi. Il commissario si sedette di fronte a lei e cercò di usare i toni più gentili possibili.
– Buongiorno, io commissario di polizia. Puoi tu rispondere a qualche domanda, per favore?

Ossouka Bekale rimase immobile a testa bassa per 30 – 40 secondi, Forse non aveva capito la domanda, pensò Bastoni. Poi, molto molto lentamente la ragazza alzò uno sguardo intenso e agitato sul commissario.
– Va bene, io pronta, ma già detto tutto a altro poliziotto.
– Certo, io so, solo poche domande. Quando tu essere venuta qui oggi, e perchè?
– Io fare pulizie in palazzo per agenzia affitto, venire qui una volta a settimana, da sette e mezza a dodici e mezza. Loro pagare poco ma sempre puntuali.
– E oggi tu arrivata a sette e mezza come altri giorni? Tu avere chiavi?
– Sì, io precisa, aperto porta visto tanta luce e poi visto… cadavere.
– Cosa tu fatto dopo?
– Io gridato e gridato ma nessuno rispondere in casa, allora scappata per le scale. Portiere a ingresso ha visto me gridare, io ho trovato vigile fuori e lui chiamato polizia.

Manotta si chinò cautamente all’orecchio del commissario.
– Commissario, stanno per arrivare i pompieri con le scale.
– Benissimo, il medico legale quando arriva?
– L’ho avvertito, viene intorno alle dieci.

Subito dopo fu il turno dell’agente Cardone.
– Commissario, abbiamo cercato ovunque ma è strano, in questa stanza non ci sono luci centrali, c’è soltanto una presa di corrente, e a quella è collegato il faro. Se lo spegniamo magari complichiamo la vita ai pompieri che devono staccare il cadavere dal soffitto e portarlo a terra.

Il commissario registrò il dato, fece uno sbrigativo cenno d’approvazione e continuò con la ragazza.
– Ossuca, allora…
– Ossouka.
– Va bene, Ossouka, chi abita questo appartamento? Tu hai visto mai lui? È quello appeso al soffitto?
– No, io mai visto lui. Qui cambiare sempre inquilino, solo una settimana stare, qualche volta due. Io mai visto chi stare qui questa settimana.
– Tu essere entrata con chiave? Hai girato chiave nella serratura o no?
– Io usata chiave ma non girata tanto, aperta subito.

Il commissario rifletteva, guardandosi intorno.
– Ma una settimana fa, quando tu entrata qui, come era questa stanza?
– Normale era, c’era tavolo grande al centro e tante sedie, anche grande lampada su tavolo, io ricordo perché c’era tanto da pulire.

Rumori nel corridoio, passi affrettati e respiri pesanti, due pompieri fecero il loro ingresso nella stanza trasportando due pesanti scale. Manotta li fermò all’entrata bisbigliando loro qualcosa e indicando il soffitto. I due si bloccarono all’istante, ipnotizzati, e rimasero immobili a bocca aperta a fissare il soffitto per almeno un minuto.
– Ossouka, tu avere toccato qualcosa quando entrata in casa?
– Solo maniglia della porta e maniglia di questa stanza. Niente altro. Poi scappata via.

I due pompieri si erano destati dalla trance e avevano cominciato a muoversi sotto la direzione del vicecommissario Manotta. Fissate le scale l’una di fronte all’altra, salivano lentamente evitando di guardare il cadavere, sotto lo sguardo partecipe degli agenti Cardone e Marianni a braccia conserte. Arrivati al soffitto, i due si concentrarono su un punto particolare dietro alla schiena del cadavere, invisibile dal basso, e cominciarono a parlottare tra di loro. Provavano a toccare un punto, si fermavano, bisbigliavano, toccavano qualche altra cosa e discutevano sul da farsi. Ad ogni minimo tocco, il cadavere oscillava dolcemente. Bastoni cercò di riconcentrarsi sulla ragazza, di nuovo con lo sguardo fisso a terra per sottrarsi alla scena.
– Ossouka, ma agenzia non dice a te che turista è quella settimana? Non dice “attenta perché oggi c’è, non fare questo, non fare quest’altro, non pulire stanza a destra…?
– Qualche volta agenzia dire, ma solo qualche volta, questa volta io dovere pulire… Oh ma ora basta, commissario Manotta, potrebbe venire un attimo qui, per favore?

Ossouka Bekale si alzò decisa, pugni sui fianchi, sguardo risoluto, mentre Bastoni fissava allibito il cambiamento repentino davanti ai suoi occhi. Manotta si avvicinò cauto, già immaginando il motivo di quella chiamata.
– Commissario, io vi ho descritto dettagliatamente due volte quello che ho visto stamattina al mio arrivo qui, non ho altro da dire e soprattutto non posso sopportare oltre un interrogatorio condotto da uno stronzo razzista che…

Un fragore improvviso travolge la conversazione, una scala è rovinata a terra con violenza, gli occhi si volgono verso l’alto, un pompiere è aggrappato al cadavere che si sta staccando rapidamente dal soffitto, il suo collega cerca invano di afferrarlo, Cardone e Marianni indietreggiano verso la parete prevedendo il peggio, il cadavere crolla fragorosamente a terra con l’atterrito pompiere a cavalcioni e si smembra in migliaia di pezzi che schizzano via in tutte le direzioni, Bastoni Manotta Ossouka Cardone e Marianni cercano di proteggersi in qualche modo dalle schegge – proiettili, con l’improvvisa illuminazione che il cadavere dopotutto non è un cadavere.
Sulla porta, accanto all’appuntato Locicero esterrefatto, appare improvviso il giovane scultore iperrealista americano Tony Matelli con due buste di supermercato.

-But… oh god… what… what the fuck…

Scultura di Tony Matelli. Foto scattata da Luca Vitali in occasione della mostra “Sembra vivo” presso Palazzo Bonaparte – Roma (luglio 2023)

Cristina, agosto 2023

OFELIA

Era l’anno dell’esame di stato. Mi era andata alla grande, meglio di quanto avrei mai potuto sperare e ora avevo davanti delle lunghe vacanze senza pensieri, o per lo meno i pensieri volevo rimandarli a dopo.  Marco, il mio alter-ego e compagno di avventure, era incastrato con i genitori in una crociera per il Mediterraneo e io avevo accettato l’invito di Nino e Pablo di andare con loro a Londra per una decina di giorni. Frequentavamo insieme una scuola di judo e, sebbene non fossero proprio amici, mi erano simpatici e Londra è sempre Londra. Al mio ritorno con Marco avremmo girato l’Europa andando dove ci guidava l’ispirazione del momento e finché le nostre finanze lo avrebbero permesso. Nino invece doveva essere un secchione perché aveva fatto un programma dettagliato, giorno per giorno, delle cose da fare e vedere. La mattina era dedicata alle visite culturali, musei e simili, mentre dal tardo pomeriggio in poi avevamo una lunga lista di locali che promettevano incontri interessanti. Pablo aveva anche dei contatti che lo facevano ben sperare. A me andava bene tutto, non volevo pensare a niente e sebbene fossi già stato a Londra due volte – la prima con i miei quando ero piccolo e la seconda per un corso d’inglese ospite di una famiglia – praticamente non conoscevo quasi nulla della città.

Un pomeriggio mi ritrovai solo perché casualmente e per vie diverse i miei amici avevano rimediato due appuntamenti, uno con una ragazza indiana che faceva la cameriera in un Fast food e l’altro con una francesina incontrata al British.  La cosa non mi dispiaceva poi tanto perché ero libero di visitare la città nel modo che più mi piaceva, cioè perdendomi per vie sconosciute. Il nostro ostello era a Paddington  e partendo da lì cominciai a camminare senza meta. Credo di aver fatto parecchi chilometri prima di accorgermi che il sole era ormai tramontato e scendeva una leggera pioggerella che mi aveva completamente inzuppato la maglietta. Entrai nel primo pub che trovai lungo la strada e mi rifocillai con uno spuntino e due corroboranti boccali di birra. Quando uscii era già buio e non avevo la minima idea di dove mi trovassi, tanto che a malincuore ricorsi all’aiuto del cellulare.  Il percorso suggerito era completamente diverso da quello che avevo fatto all’andata e a un certo punto mi obbligava ad attraversare un parco. C’era un piccolo laghetto circondato da salici le cui ombre tremule si specchiavano sulla superficie dell’acqua e lì vicino, solitaria e assorta, sostava una figura. Mi avvicinai e vidi che era una giovane donna dai capelli rossi che indossava un lungo abito a fiori. Quando volse il viso nella mia direzione fui colpito dalla sua carnagione bianchissima e dallo sguardo malinconico dei grandi occhi verdi. Nell’atmosfera rarefatta e liquida di quella notte londinese mi sembrò un sogno e rimasi turbato ma non tanto stupito quando a un tratto non riuscii più a vederla. La mattina dopo mentre Nino e Pablo raccontavano entusiasti delle loro conquiste della sera precedente io non dissi nulla del mio strano incontro e man mano che le ore passavano divenni sempre più certo che fosse stato solo frutto dei due grossi boccali bevuti al pub.

   Quel giorno era prevista la visita alla Tate Gallery e come al solito lasciai andare avanti gli amici per seguire un mio percorso occasionale. Quando entrai in un’ampia sala sulle prime vagai distratto ma poi un dipinto attrasse totalmente la mia attenzione. Lungo un fiume che scorreva tra una vegetazione lussureggiante, a pelo d’acqua la corrente trasportava dolcemente il corpo di una giovane donna. L’abito prezioso stava lentamente affondando, le candide mani si aprivano lasciando andare i fiori raccolti sulla riva, l’espressione del bellissimo viso era ferma in uno sguardo stupito mentre la bocca dischiusa sembrava aver appena esalato l’ultimo alito di vita.  Ofelia di John Everett Millais era scritto sul cartellino, ma io riconobbi senza ombra di dubbio la misteriosa apparizione della sera prima.

Scultura di Tony Matelli. Foto scattata da Luca Vitali in occasione della mostra “Sembra vivo” presso Palazzo Bonaparte – Roma (luglio 2023)

Barbara Bucci agosto 2023

INVISIBILE

Invisibile.

L’uomo sapeva di esserlo.

Camminava per strada sotto una pioggia scrosciante che gli batteva sul cappello e sull’impermeabile, amava sentire il suono dei suoi passi sul marciapiede bagnato.

Niente ombrello, oh no, non per lui, tanto sarebbe passato inosservato, comunque, agli occhi di chi gli passava accanto.

Pronto per un nuovo lavoro, camminava a passo lento, godendosi la solitudine che da sempre gli aveva fatto compagnia.

Luca aprì la finestra.

Si affacciò ammirando una Roma troppo fredda e tempestosa per essere agosto e pensò che quella era proprio un’ottima sera per morire.

Si guardò intorno, scrutando la sua camera, sempre più spoglia, trascurata, così come era ormai trascurata la sua vita.

Come si fa? Come si fa a spiegare agli altri che il tuo corpo vive ma il tuo cervello vorrebbe solo morire? La morte, un’idea inizialmente sciocca, ma che col tempo inizia a mettere radici come un seme malato che una volta piantato inizia a crescere senza fermarsi più.

Si guardò allo specchio, capelli biondi, occhi chiari che un tempo erano un lago di vitalità, di voglia di vivere. Indosso la solita camicia, la t-shirt e i jeans che ormai non toglieva più neanche per dormire.

Dormire…sembra facile dormire quando la mattina dopo hai la delusione di svegliarti ancora vivo.

“Sembro vivo!” è questo che pensò specchiandosi, eppure si sentiva preso dallo sconforto, la delusione di una vita vuota, più della sua stanza.

Tornò alla finestra.

Il venticello gli pizzicava le guance e quando sentì dei passi dietro di lui tirò un sospiro di sollievo.

Sempre più vicini, lenti, ma non titubanti.

Sentì le mani bagnate premere sulla sua schiena, forte, una spinta secca e decisa.

Giù.

Durante il suo volo, nei pochi metri che lo separavano dal marciapiede sentì un’emozione fortissima.

“Finalmente”

E un leggero sorriso apparve sulle sue labbra poco prima di schiantarsi sull’ asfalto grigio.

L’uomo guardò giù dalla finestra.

“Un altro lavoro terminato”, pensò.

“Quanto bisogna essere disperati per pagare qualcuno che ti uccida? Quanta codardia bisogna avere per non farlo da soli?”

Ma in realtà non gli importava veramente, quello era il suo lavoro, aiutare le anime disperate che avevano bisogno di qualcuno che mettesse fine al proprio dolore.

Pensò che forse la codardia non era quella, ma continuare a vivere in un mondo che non senti tuo, in un mondo dove sei solo uno dei tanti nessuno. Invisibile.

Uscì dalla casa, consapevole che anche questa volta il suo lavoro sarebbe stato archiviato come “suicidio volontario”.

“Invisibile. Niente di più facile. Questo rende il mio lavoro così semplice. Il mio essere un uomo qualunque, ignorato da chi mi passa accanto.

Questo rende il mio lavoro così semplice.”

Scultura di Tony Matelli. Foto scattata da Luca Vitali in occasione della mostra “Sembra vivo” presso Palazzo Bonaparte – Roma (luglio 2023)

Paola Bianchi, settembre 2023

IL SOFFITTO A SPECCHIO

Tra pochi giorni la rivedrò, dopo tanto tempo!

Pensare che é iniziato tutto per una strana casualità. Quella mattina mi ero svegliato molto presto, con una sensazione esagerata di angoscia senza riuscire a capirne il motivo, in fondo sarebbe stato un giorno come un altro, in ufficio non mi aspettavano appuntamenti particolari o riunioni impegnative o altre noiose incombenze.

 Ho dunque assolutamente ignorato il mio stato d’animo e sono uscito, alla solita ora, certo che il senso di responsabilità avrebbe prevalso, come sempre del resto, e la mia mente, quindi, sarebbe stata totalmente rapita dall’attività lavorativa, come accadeva ogni giorno. Ancora di più da quando il costante impegno aveva iniziato finalmente a produrre i suoi frutti, sia in termini di soddisfazioni personali che economici.

Quel giorno invece le ore passavano ma il malessere interiore cresceva e dunque, non ce l’ho fatta, sono uscito prima del solito dall’ufficio, cosa che accadeva raramente e, senza nessuna distrazione, sono tornato a casa. Seduto sul divano del mio studio, nel silenzio totale, mi sono guardato intorno e le innumerevoli scartoffie lasciate qua e là, in attesa di essere lette e catalogate, sembravano piuttosto minacciose, sicuramente avevo dimenticato qualche scadenza o di pagare qualche bolletta o qualcosa di peggio. Il giorno dopo le avrei controllate.

 Poi ho pensato che forse sarebbe stato meglio farlo subito ma, lentamente, sono sprofondato in un faticoso dormiveglia, con brevi e strani sogni in qualche modo collegati fra loro, fino al momento in cui mi sono improvvisamente ritrovato in una stanza piccolissima, sembrava totalmente buia; invece, un fortissimo vento mi spingeva verso l’unica parete illuminata, che non riuscivo però in nessun modo a toccare. Spaventato, incredulo, alla ricerca disperata di un appiglio, di una qualunque via di uscita, guardo verso l’alto ed uno specchio restituisce l’immagine di un giovane uomo, sono io! Cerco di alzare un braccio nel tentativo estremo di toccare lo specchio ma niente, non ho la forza per farlo, non riesco proprio a muovere neanche un dito.

Per fortuna mi sono svegliato di colpo e ho pensato, come accade in questi rari casi, “meno male che era solo un sogno”!  Mi sono tranquillizzato, ho cercato di fissare subito nella memoria il sogno, provando un sottile piacere nell’essermi rivisto così giovane. Non credo di aver confuso con altre quell’immagine riflessa, ero proprio io.

Deciso a dare un senso a quella strana giornata, dopo aver bevuto un caffè, per svegliarmi completamente, ed acceso una sigaretta, pensando come sempre “prima o poi smetto”, ho cominciato a movimentare qua e là alcuni libri nascosti dalle carte, per riposizionarli finalmente nella libreria. Cade qualcosa e la raccolgo incuriosito, é una fotografia con un numero di telefono scritto a matita, che si legge a stento. La giro ed é di Lara, anche lei giovanissima. Chissà per quale motivo avevo messo, tanti anni fa, la foto proprio in quel libro, il cui titolo non mi ricordava nulla di particolare.

Sono rimasto qualche minuto a fissare la foto lasciandomi prendere dal ricordo del bellissimo periodo insieme, riaffiorato immediato e nitido insieme alla nostalgia del tempo passato; ho iniziato a pensare che forse, in quel momento della  vita, ero tornato ad essere particolarmente vulnerabile. Da ragazzo lo ero, nonostante il mio innato ottimismo, avevo periodi in cui l’insicurezza e la paura di vivere erano le mie compagne quotidiane e questo Lei lo aveva capito bene e cercava sempre di spronarmi ad affrontare le situazioni con semplicità, tanta allegria ed amore.

Trascorsero diversi giorni prima che mi decidessi a comporre quel numero di telefono scolorito.

Scultura di Tony Matelli. Foto scattata da Luca Vitali in occasione della mostra “Sembra vivo” presso Palazzo Bonaparte – Roma (luglio 2023)

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