Spavalda
Giuseppe Pugliese, luglio 2024
Aveva l’aria spavalda e sempre una gran voglia di far festa.
O meglio “fiesta”, come diceva lei, la cui ripetuta frequentazione di Cuba e Jamaica aveva messo radici nella sua anima, come amava ripetere.
Di tanto in tanto provava anche saudade per l’amato Brasile anche se, a parer mio, non sapeva neanche cosa volesse davvero esprimere usando questo termine.
Ma accadeva solo in quei suoi rari momenti blues in cui il suo cuore batteva lento.
Uomini? Tanti sì, ma non tantissimi e dietro ognuno c’era un innamoramento subitaneo ed un altrettanto rapido distacco.
Per qualche tempo subì anche la fascinazione del jazz e mi portò con sé a Manhattan (che già solo come lo pronunciava lei – Maaanhatan – era tutto un programma) in uno di quei locali trendy and cool che ti sentivi “in” già solo perché ti avevano fatto entrare e miseramente “out” dopo aver pagato il conto.
Ma tant’è… noblesse oblige e se non c’è pane mangeremo croissant: alla ciliegia s’il vous plait, il mio preferito.
“Cheri” mi diceva “dove mi porti stasera?” E io mi inventavo di tutto e di più e lei non era mai stanca, mai ve lo assicuro.
E vai di dance dance dance.
House ed electro pop.
Funky and soul come se ogni notte fosse l’ultima possibile.
Ma tutto ha un inizio e tutto ha una fine.
Quanto sarà durata la nostra storia? Sei mesi? Due anni? Non saprei.
Il nostro tempo non si misurava come quello dei comuni mortali.
Eravamo angeli e volavamo… Poi io, illuso Icaro, mi sono bruciato a quel sole splendente. Ho perso tutto, ma non la mia joie de vivre.
Mi salvano il mio spirito brillante, l’ultimo abito di sartoria rimastomi e le mie scarpe da tip tap.
Ballo “on the corner” e raccatto spiccioli da qualche passante frettoloso che a stento butta un occhio distratto, attratto solo dal suono del sax.
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