L’abbraccio del tango

Amedeo Rollo, novembre 2024

Buenos Aires, Argentina.

La sala è attraversata da una luce ruffiana che accarezza i volti e ne fa intuire i segreti. L’aria è carica di aspettative. Alle pareti vecchie fotografie in bianco e nero e locandine di epoche passate. Il parquet risuona appena sotto i passi dei ballerini, mentre un lento e seducente bandoneón evoca storie di amori perduti, storie lasciate in sospeso, di passioni irrefrenabili, di gelosie brucianti…
Lei è lì, al centro della pista. I suoi occhi neri come la notte cercano qualcuno. Indossa un abito rosso, che le avvolge i fianchi come una seconda pelle, e ogni movimento del suo corpo racconta di una personalità estroversa e passionale. Lui arriva poco dopo, è un uomo dagli occhi scuri, profondi, capelli neri stesi col gel, poco più che trentenne, con un sorriso che infonde sicurezza.
Non si dicono nulla.
Lui le porge una mano, e lei, senza esitare, la prende. Intorno a loro non c’è più nulla: solo loro due e il suono della musica.
L’abbraccio è il primo contatto, caldo e avvolgente, ma non invadente. È un abbraccio che chiede, non prende. Lei socchiude gli occhi e si abbandona completamente a quel linguaggio muto che solo il tango sa offrire.
La musica va.
I loro corpi iniziano a muoversi in perfetta sintonia, come se si conoscessero da sempre: i passi lenti, gli improvvisi cambi di ritmo, le pause cariche di tensione… Ogni gesto racconta una storia. Lui la conduce con fermezza, ma con modi gentili; lei si sente libera e risponde con eleganza, i movimenti del suo corpo evocano un profondo e ancestrale rito d’amore.
Ogni loro movimento è una richiesta a cui dare risposta.
Il tango non è una ballo qualsiasi. È comunicazione fatta di gesti, di sguardi… è un dialogo intimo.
La musica termina e l’abbraccio si scioglie lentamente. I loro occhi si incrociano ancora per un istante, pieni di emozione. Poi lui le fa un piccolo inchino, lei risponde accennando un sorriso.
Nessuno dei due ha qualcosa da dire. Quello che dovevano dirsi se lo sono già detto.

Immagine di freepik</a>

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