La fine della scuola
Amedeo Rollo, novembre 2024
Roma, anni ‘60, primi di giugno.
Le finestre dell’aula si aprivano, e l’aria tiepida si mescolava al vocio degli studenti, ormai stanchi e impazienti. L’intenso profumo dei tigli entrava prepotentemente, trasportato da una leggera brezza. Era quello, per noi, un segnale inequivocabile: la scuola stava per finire.
Avevo dodici anni, ed ero seduto in penultima fila, accanto al mio compagno di banco, Paolo, che scarabocchiava sull’ultima pagina del quaderno. Ogni tanto alzava lo sguardo verso la lavagna, fingendo attenzione, ma la sua mente era già altrove, come la mia. I compiti assegnati non avevano più importanza: in quei giorni, anche i professori sembravano meno severi, più inclini a chiudere un occhio sui compiti non svolti o sul vocio tra i banchi.
Fuori, il cortile della scuola era un’esplosione di luce.
Si sentiva il rumore del carretto dei rifiuti che Gino, un vecchietto ingobbito dall’età, con la ramazza in vimini in mano, trascinava. Ogni tanto, un raggio di sole si rifletteva sulla finestra, illuminando la polvere sospesa nell’aria, e io mi perdevo a immaginare le lunghe giornate estive che ci aspettavano: il ghiacciolo “arcobaleno” al bar del signor Amilcare, le corse in bicicletta fino al Fontanone di via dei Cessati Spiriti, le “guerre” con le cerbottane fatte da noi con i tubi di plastica degli elettricisti, le serate passate a chiacchierare sul marciapiede fino a tardi.
Ricordo ancora l’ultima campanella di quell’anno. Suonò come uno scampanio di libertà. Paolo si voltò verso di me con un sorriso complice:
“Che fai domani? Andiamo all’oratorio?”
Annuii senza pensarci due volte. Non c’era bisogno di parole: la promessa di un’estate da vivere era tutta racchiusa in quel semplice scambio.
Ora, quando sento il profumo dei tigli, è come se una porta invisibile si spalancasse, riportandomi lì, a quell’aula illuminata e piena di energia. Mi rivedo con il quaderno aperto, Paolo accanto, e quella sensazione di attesa inquieta che solo a dodici anni si può provare, quando il mondo sembra così grande e pieno di possibilità.
Mi fermo, inspiro profondamente, e lascio che la nostalgia mi avvolga. Roma, in quel profumo, è ancora qui, immutabile. E io, per un istante, torno a essere quel ragazzo che sognava l’estate dietro a un banco di scuola.
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