Bandinelli va veloce
Luca Vitali, giugno 2020
L’assessore alla Cultura e al Tempo Libero di Gambettola si schiarì la voce, bevve un sorso d’acqua e ne approfittò per dare un’altra occhiata alla sala. Niente da fare, la situazione non accennava a cambiare, stava perdendo il suo tempo. Calcolò che nella sala ci fossero non più di 5, 6 cittadini votanti.
I sette vecchietti in prima fila probabilmente avevano votato l’ultima volta nel referendum monarchia – repubblica del 1946; dietro di loro, concentrate sui cellulari, le badanti, che però non contavano come uditorio.
Avrebbe dovuto riflettere: a 75 anni di distanza, quanti parenti-votanti avrebbe potuto coinvolgere… stupido, era stato veramente stupido. Posò il bicchiere con un piccolo sospiro e continuò:
-Chiamo ora sul palco il caporal maggiore Matteo Baldinelli, il secondo dei valorosi soldati sopravvissuti agli orrori dello Stalag III C a Kostrzyn, dal 9 settembre 1943 al giugno 1945.
Una delle badanti in seconda fila si alzò di scatto, sgomitò tra le altre e andò a piazzarsi davanti a quello che sembrava il più malandato dei sette residuati bellici (aggettivo estremante adatto all’occasione), uno scricciolo d’uomo con la sua brava mascherina per l’ossigeno a nascondergli il volto. La donna lo fece alzare energicamente, si mise a tracolla la bomboletta dell’ossigeno e lo spinse verso il palco. Arrivato con passi incerti davanti all’assessore, il caporal maggiore Bandinelli fu fermato con un piccolo, efficiente strattone; rimase lì, lo sguardo incerto e impaurito, il braccio destro in preda a un tremito incontrollato. L’assessore meccanicamente continuò a recitare la sua parte:
-Caporal maggiore Baldinelli, anche con lei oggi l’Amministrazione Comunale di Gambettola cerca di squarciare il velo dell’oblio che ha impedito alle nuove generazioni di conoscere le gesta, gli eroismi e le sofferenze che hanno caratterizzato la vostra prigionia nel campo di Kostrzyn per quasi due anni.
Prese la medaglietta e passò il nastrino intorno al collo del Baldinelli. Stava armeggiando per districare medaglia e tubicino dell’ossigeno, quando lo scricciolo ebbe una reazione inaspettata: gli afferrò la mano e la tenne stretta al petto; con l’altra mano si abbassò lentamente la mascherina, scoprendo un volto emaciato e una bocca sdentata.
– Ma tu… tu adesso me lo devi dire… tu lo sai come sono tornato a casa da Kostrzyn, eh? Lo sai? Non lo sai. Vuoi che te lo dico, eh? Non lo sa nessuno come sono tornato e io lo so che tu… tu lo vuoi sapere, no?
L’assessore aveva lo sguardo sbarrato, la bocca aperta in una smorfia di incredulità. Il Bandinelli gli stringeva ancora la mano e non dava segno di volerla mollare. La badante lì accanto era in allerta ma si guardava bene dall’intervenire, vecchietti e badanti in fondo alla sala erano improvvisamente diventati attenti a quello che stava succedendo lì davanti.
– Lo sai quanti chilometri ci sono tra Kostrzyn e Gambettola eh? 1229 chilometri, ci sono. E lo sai quanti giorni ci ho messo per tornare a casa, quando i tedeschi sono scappati dal campo? 18 giorni ci ho messo, 18. Ho fatto 70 chilometri al giorno, con le scarpe rotte, senza lacci, senza niente da mangiare, buttandomi nei fossi appena sentivo rumore di motori lungo la strada… 70 chilometri al giorno. Ora lo sai no?
Il Bandinelli si interruppe, lo sguardo nel vuoto nello sforzo di ricordare, la mano tremante sempre serrata su quella dell’assessore.
– Veramente, eravamo in due a scappare da Kostrzyn… l’altro non lo conoscevo, quelli della baracca 27 non li facevano mai uscire… comunque vedo che questo viene insieme a me lungo la strada, e dopo un giorno facciamo tutti e due le stesse cose, cerchiamo la frutta, rubiamo pomodori e patate nei campi, dormiamo vicini, ci diamo l’allarme se vediamo qualche soldato… non parlavamo mai… non c’era niente da dirci. Dopo quattro giorni siamo fortunati: davanti a una casa vediamo una bicicletta da donna, vecchia, le gomme sgonfie, ci guardiamo intorno, non vediamo nessuno, io salgo sopra e scappiamo via, io in bici e lui di corsa dietro. Dopo un chilometro mi fermo e lui mi raggiunge, tutto sudato. Da quel giorno ci diamo il cambio, uno in bici, l’altro a piedi, e poi cambio … non andiamo veloci, la bici è vecchia e piccola… però ci si stanca di meno così…
L’assessore approfittò della pausa per cercare di riprendere il controllo della situazione.
– Veramente molto interessante, signor Bandinelli, e quindi siete tornati in Italia in questo modo, pedalando e camminando. Grazie della sua preziosa testimonianza, e ora vorrei chiamare sul palco…
– Io non ho finito, tu non hai capito niente, fammi finire di raccontare – lo interruppe il Bandinelli con forza, alzando la voce roca. L’assessore si arrese, non aveva scelta. Tornò di nuovo zitto e di nuovo, silenziosamente, si rimproverò per la sua stupidità.
– Dopo tre giorni, eravamo stanchi morti. Passiamo per un paese distrutto dai bombardamenti, di notte per non farci vedere; quell’altro all’improvviso si ferma, scompare dietro una casa, zitto zitto, e torna dopo un minuto reggendo una bicicletta. Era da uomo, bellissima, quasi nuova, anche con la pompa. Andiamo via dal paese con le due biciclette, tutti contenti: avevamo finito di camminare. Abbiamo cominciato a pedalare tutti e due, solo che quello con la nuova bici doveva sempre aspettare l’altro. Ci davamo il cambio ogni 3-4 ore, così dopo qualche giorno siamo arrivati in Austria e sono cominciate le salite. Solo che quell’altro era più debole di me, soffriva tanto e si doveva fermare sempre, aveva la diarrea, il sellino gli faceva sanguinare le emorroidi, insomma stavamo sempre fermi.
Il caporal maggiore si fermò un attimo a contemplare il ricordo, l’ombra di una smorfia furba sul viso.
– Insomma, io sentivo quasi aria di casa, mi ero stancato, non era colpa mia se lui stava male e c’erano tutte quelle salite…, gli avevo dato la bici migliore ma lui si fermava sempre, tutto dolorante… un giorno in montagna, abbiamo passato un paesino, si chiamava Fritzens mi sembra, lui si ferma, dice che gli sanguina il sedere, che si deve riposare, si butta sotto un alberello e dopo due minuti è lì che dorme della grossa… io non ci ho visto più, mi ero stufato, quello era una palla al piede… stavo lì a pensare che fare quando comincio a sentire il rumore di un motore, era un camion che stava venendo su per i tornanti dietro di noi. Ho guardato quello che russava, distrutto dalla fatica, i pantaloni tutti insanguinati … e l’ho fatto: sono montato sulla bicicletta buona e l’ho lasciato lì, ho cominciato a pedalare forte, sempre più forte, sempre più forte, mi sentivo un leone, se stavo al giro d’Italia vincevo la tappa, sicuro. Ho pedalato per tre ore senza mai fermarmi e poi sono arrivato…
Un urlo improvviso dal fondo della sala, tutti gli occhi si spostano da quella parte, a cercare chi grida. Uno dei sei vecchietti si è alzato e sta sbraitando, il braccio proteso verso il Bandinelli, il viso nascosto dalla mascherina, gli occhi due fulmini che scintillano rabbia repressa. La badante dietro di lui, sbigottita, non ha il tempo di alzarsi e seguirlo con l’ossigeno. Il vecchio continua a gridare ma più debolmente, il braccio tremante allungato, gli occhi accesi dal furore. Prova a fare due passi verso il palco, ma il tubo dell’ossigeno si tende ed è costretto a fermarsi, impotente.
La badante si districa dalle sedie e cerca di avvicinarsi, ma la situazione precipita in un attimo. Il grido selvaggio si converte in un rantolo sempre più affannato, poi si interrompe bruscamente, le esili gambette cedono, lui stramazza lentamente a terra e non si muove più. Il braccio destro, ormai immobile, è sempre puntato implacabile verso il caporal maggiore ciclista Matteo Bandinelli.