La telefonata
Amedeo Rollo, gennaio 2025

Era appena passata la mezzanotte quando il telefono squillò, strappandomi al sonno profondo. Un suono così improvviso, nel cuore della notte, amplificò il silenzio della casa. Mi alzai e mi misi a sedere, con il cuore che batteva forte. Guardai lo schermo del cellulare sul comodino. Sul display non apparve nessun numero, ma solo la scritta “Numero sconosciuto”. Cominciai a preoccuparmi seriamente.
Esitai.
Chi poteva chiamare a quell’ora? Magari era un’emergenza. Forse un parente, pensai.
Con un accresciuto timore, risposi:
“Pronto?” dissi, con la voce roca e assonnata.
Dall’altro lato, silenzio.
“Chi parla?” insistetti, cercando di non far trapelare il nervosismo.
Un respiro. Lento e profondo, come se qualcuno stesse cercando di trattenere le parole. Poi una voce, bassa e ruvida:
“Non avresti dovuto farlo.”
Un brivido mi percorse la schiena. “Chi è? Fare cosa?”
“Non importa chi sono. Ma tu lo sapevi. Hai aperto la busta che doveva restare chiusa.”
La voce era familiare, volutamente artefatta tanto che non riuscii a identificarla.
Mi guardai intorno nella stanza buia, ogni ombra sembrava più profonda del solito, ogni rumore più inquietante.
“Se è uno scherzo, non è divertente,” dissi, cercando di sembrare sicuro, ma la voce mi tradì, tremava.
Dall’altra parte una risata debole, quasi meccanica. “Non è uno scherzo. Hai riportato qualcosa con te. Qualcosa che non ti appartiene.”
Sentii il mio sangue raggelare. La settimana prima ero tornato con mia sorella al vecchio casolare di famiglia, abbandonato ormai da decenni. Avevamo esplorato ogni stanza, preso qualche oggetto come ricordo. Una foto sbiadita, un orologio da taschino arrugginito… e quella strana chiave riposta in una busta del cassetto della scrivania che non sapevamo a quale serratura appartenesse.
“Di che stai parlando?” chiesi. “Non capisco.”
“Non avresti dovuto toccare quella chiave,” sussurrò la voce. “Ora non sei più solo.”
Dal corridoio si sentì uno strano rumore. Qualcosa di leggero, come passi che si avvicinavano lentamente. Mi alzai di scatto, afferrai il telefono con forza. “Chi è là?” gridai, cercando di guardare oltre la porta socchiusa della camera.
La voce all’altro capo rise di nuovo, questa volta più forte, più distorta. “Non sono io a essere lì. Sono loro.”
La linea si chiuse di colpo. Rimasi immobile, con il respiro affannoso. Il silenzio della casa era ora soffocante, interrotto solo da quel suono. Passi. Sempre più vicini.
Mi girai verso la porta. Una figura scura, irriconoscibile, si stagliava contro il corridoio. Alta, dinoccolata, sembrava muoversi in modo innaturale. E nella mano un foglio con su scritto a caratteri cubitali: “Dammi la chiave”.
Il telefono mi scivolò dalle mani.
Terrorizzato, presi la busta con la chiave che stava sul comodino e gliela consegnai.
La mattina seguente decido di andare al commissariato per sporgere denuncia. Poi ci ripenso, in fondo si sono presi una banale chiave di nessun valore, non voglio impicci né tantomeno perdite di tempo…
È di oggi la lettera della banca che mi informa della disdetta della cassetta di sicurezza dei miei genitori per volere di mia sorella!
Immagine di freepik</a>