Una parola
Maria Rita Battistelli, dicembre 2023
Non le piaceva. Immaginava una bocca diversa, e diversa l’angolatura del viso, come diversa, soprattutto, ne pensava la voce. Ciò nonostante, mentre redigeva il verbale, notò più volte lo sguardo di lui soffermarsi sul suo. Certa di quel suo cercarla per coglierne qualche tratto, ebbe cura di verificarlo da dietro l’occhiale, sfoggiando un’impropria disinvoltura. Si salutarono, comunque contenti di quegli accenni giocati dalla reciproca curiosità, e qualcosa restò impresso sugli abiti che portarono a casa, qualche furbesca domanda cui nessuno dei due volle far caso. Il giorno dopo, nel rivederlo ancora, decise di ignorarlo. A questo punto, per pura distrazione, si scambiarono dei dati e presero certi accordi come fosse una normale conversazione, e alla fine, per prassi, lo fornì del suo cellulare. Finse di non attendersi mai uno squillo nei giorni a venire, cosa che reputò salutare per il corretto prosieguo della sua vita, ed ebbe quasi a sussultare quando lo vide varcare la soglia dell’ufficio, con un abbigliamento persino più accurato e la levigatura del viso appena rasato sugli accordi di una sommessa fragranza che senza sfiorarlo le veniva incontro. Si erano baciati, infatti, qualche tempo prima, proprio perché due come tutti, non mancanti di buone maniere e di quel minimo di ospitalità. Lo aveva liquidato nel giro di qualche minuto, giusto il tempo di chiarirgli alcune cose, e solo quando ormai con la chiave inserita nel cruscotto dava gli occhi alle manovre dell’auto, si accorse di aver bruciato ogni possibilità e ne fu dispiaciuta. Se lo disse e se lo tenne, contemplando l’eventualità di un ulteriore contatto che, ad essere speranzosi, confidando in una buona stella, vide molto, ma molto lontano.
Ci giocò nel letto, prima di dormire, quando le braccia rincorrono un contatto e forse le gambe si spingerebbero oltre il piazzale a fermare quell’auto e risentire quel sommesso odore. Il mattino la destò alleggerita. Un sogno sorto con l’alba le aveva rammentato la sua parte migliore così che i piedi, trovati dalle pantofole, si accingevano a proseguire il viaggio con l’ottimismo di quanto già temprato nella propria muscolatura. Dimenticò il profumo, ma sì, che importa! Non era certo quello a farla più bella. E cosa, allora? Non se lo chiese (sfidare il mondo di primo mattino!?! Nooooo…neanche per il sogno!). Pioveva, ma ogni suono, ogni odore, sposava l’aria che respirava e anche il negativo poteva essere vissuto. Sapeva solo di negativo infondo. Mentre tentava un dialogo con il fax, che proprio non voleva saperne di inviare due pagine consecutivamente, qualcuno la salutò ombreggiando le spalle. “Dirai che ti sono tra i piedi, lo so”. Lui. Quello della macchina. Della chiave che gira sul cruscotto. Quello del telefono che non squilla. Quello! (ah…lui!). “Ciao!” gli disse voltandosi, con una mano in un foglio e l’altra ancora sulla tastiera. “Croissant e caffè, per entrambi naturalmente!” proseguì lui, sfoggiando a mezz’aria due bicchieri coperti e un sacchetto di carta bianco. Lei sorrise, scuotendo un po’ la testa, facendola poi subito fermare con “Hai ragione, il buon giorno si vede dal mattino”. Battutaccia pensò, nello scomodo tentativo di stiepidire l’aria, quella che le aveva colorito le guance, quella che soffia sempre quando mette le mani su un pane da condividere. Fu lui a toglierla dall’imbarazzo sedendosi di fronte, disponendo con una certa grazia le cose sul tavolo, inducendo lei a fare altrettanto. Con meno disagio di quanto lei non ne avesse pre-lamentato le bocche funzionarono, e tra un giro di mandibola e una sobria deglutizione ci presero quasi gusto o se ne dimenticarono affatto.
“Non ti dirò che passavo per caso” spezzò lui.
Lei rise di gusto, con le mani dipinte di marmellata. “Lo avevo immaginato” lasciò cadere. Scoperchiarono i caffè e si divertirono a far canestro con lo zucchero. “Avrei potuto chiamarti, e c’ho pensato. Più dei numeri, cercavo sui tasti le parole da dirti. Non c’era nulla da spiegare, volevo vederti e l’ho fatto”.
“Lo vedo” e poi, così, d’un soffio “Sono contenta”.
Lui si bevve il “sono contenta” prima del caffè, e in modo tale da non aver bisogno d’altro. Ma non voleva dar adito a mosse avventate, così optò per un mezzo finto tonto. La guardava mentre la vedeva, ma non come due azioni distinte, piuttosto erano l’una dentro l’altra. (E lei?) Stessa cosa. (Ma che c’era dentro quel caffè?!?) Il caffè, e naturalmente lo zucchero. Misero a posto ciò che restava di quello scambio e si ritrovarono sul secchio giallo senza maniglia, formato condominio. Buffo avere le mani occupate e nient’altro che sporga per alzare quel coperchio rotondo. “Da’ tutto a me” disse lui. Lei lo fece, destreggiandosi come una donna. Incastrò il bicchiere nel bicchiere, il pezzo di cartone col pezzo di cartone e la palla dei fazzoletti ben stretta nella mano. Via nel secchio! Lo richiusero, ed erano ancora lì, alla stessa distanza (e con le mani libere!). Si invita ad una certa discrezione, anche perché, altrimenti, finirebbe tutto in una parola.
A lei tornò in mente la pelle levigata e il suo profumo.
“Sei sempre così?” lui le chiese.
“Così come?”.
“Bella”.
Non so come lo disse per dirlo a quel modo, fatto fu che lei restò in quella sequenza di suoni e ne scoprì il valore. Non era un’idea, lo sentiva aleggiare attorno.
“Hai ancora l’odore d’acqua marina” gli rispose.
Lui ne fu toccato. In un istante capì gli istanti vissuti prima, fino al suo primo ingresso in quella stanza, senza il fremito dell’immaginazione. Si dispiegava al sapore del presente, che tutto contiene e di nulla manca. Sorrise. Le scostò i capelli, che spesso giocavano col suo viso, e la perdonò. “Ho dovuto ricordarti chi sono”.
“Allora, io non dovrò fare altrettanto” e gli si avvicinò, guardandolo, e vide l’uomo. Avrebbe potuto rubargli l’aroma straniero delle labbra, o il ritmo sordo che ne ravviva il collo. Portarsi sul suo corpo donandogli il gonfiore dei suoi seni e cingendogli i fianchi presagire le fattezze del suo mondo. Avrebbe saputo coglierlo senza strappargli foglie o radici, e darsi come pioggia settembrina che irrora di seme odoroso. Accenderlo con baci di terra umettata e nel lento scorrere delle dita evocarne l’intima passione per poi chetarne le membra al canto di una sponda ritrovata. Quello che portò, fu la guancia sulla sua guancia, nei passi di un ballo cominciato, con tutto il tempo che danzava accanto. E dimenticò il profumo. Ma sì, che importa. Non era certo quello a farlo più bello.